Aria Precaria

(sOmE)thingS

Inauguriamo oggi un nuovo spazio di Obladi Oblada  intitolato (sOmE)things (continuando il filone di ispirazione che nasce dai fabfour, per i quali nutro un amore smisurato!) nel quale dare luce a persone volenterose e tenaci che tentano, con ostinazione ed impegno, di fare della loro più grande passione, qualcosa (something) di cui esser fieri. L’intento di questa rubrica vuole essere nobile e motivatore, affinché si pensi con convinzione che la tenacia, la creatività (spesso) e il credere nelle nostre capacità, possano essere forieri di risultati entusiasmanti.

 

Per aprire in bellezza (è proprio il caso di dirlo), ho voluto dare voce ad una giovane scrittrice: Sara Root.

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Ho il piacere di conoscerla di persona, grazie al fatto che abbiamo una cosa in comune: siamo entrambi le donne (lei è la moglie, per essere più precisi) di due musicisti. Ci incontriamo in una fredda serata di fine marzo dello scorso anno, durante un’esibizione live del mio Uomo con la barba e dei suoi (One Man 100% Bluez, ndr). Lei è lì con suo marito. Ci presentiamo, facciamo chiacchiere. Poi arriva una nostra amica comune a dirmi, fiera, che Sara è una scrittrice, che ha pubblicato un libro (me lo dice a spron battuto perché SA BENE quanto l’argomento mi stia a cuore). Così iniziamo a parlare di questo e di molto altro. Scopro le sue disavventure professionali, narrate appunto in questo suo primo libro, Aria Precaria (edito da Cairo Editore), la sua attuale vita, i suoi molteplici interessi. È una ragazza straordinaria, Sara, dalle mille sfaccettature. Capelli rossi, occhi accesi e attenti, sorriso aperto, pulito, autentico. Mi racconta con la semplicità che la contraddistingue, e che troverò anche nelle pagine del suo libro, personali ed interessanti punti di vista. Semplicità non fa rima con poca cura: è, piuttosto, uno stile narrativo e di pensiero privo di quelle inutili sovrastrutture che poco rendono giustizia e chiarezza al concetto che si tenta di esprimere. Amo il modo diretto che ha Sara, di raccontare e di raccontarsi. Rimango affascinata dalla sua corretta disamina sul panorama attuale e dal suo giovane pensiero (nasce a Milano quasi trentadue anni fa, ma vive a Roma ormai da qualche anno). Svolge un milione di cose: è giornalista, scrittrice, digital project manager, social media manager freelance, conosce perfettamente l’inglese come fosse bilingue, è appassionata di fotografia (il progetto waiting, il cui album è pubblicato nel suo profilo facebook, è spassosissimo e davvero intelligente e inedito), lavora metà settimana a Milano e metà a Roma, districandosi tra i mille impegni professionali, di moglie, di vita. Riesce in tre parole a dare nuovi spunti ad annose questioni quali quelle, per me, dell’impossibilità di trovare una sicura collocazione lavorativa, nella mia città. Fa analisi attente e acute.

“Se vivessi fuori da questa città, Giusy, ti accorgeresti che tre quarti delle cose che voi romani sopportate, nelle altre città non esistono”.

È garbata e raffinata, Sara, nei modi e nei pensieri. Parlarle è piacevolissimo.

Mi procuro, mesi dopo, il suo libro e inizio a leggerlo. Lo termino in poche ore, tanta la curiosità di saperne fino all’ultima sillaba. In esso sono contenute le sue esperienze personali nel tentativo di diventare grande e di creare una condizione professionale che più possa calzarle a pennello. Poi, lo scontro con la realtà e con la crudezza che troppo spesso le appartiene. È un percorso impervio e rocambolesco, il suo, nel quale riconoscersi, per molti di noi, non è così difficile (purtroppo). Ci racconta molto di sé, Sara, attraverso queste righe. Conosciamo i suoi tormenti più grandi, le sue paure, le sue certezze e i punti forti che poi l’accompagneranno e la guideranno alla ricerca di soluzioni alternative impensate, prima di allora. È la storia di una ragazza che sogna una semplice normalità. Incredibile ma reale, non sono idilli di gloria di chissà quale portata ad animare le speranze di questa giovane scrittrice, protagonista del suo racconto, ma il desiderio di percorrere una strada lineare e fluida grazie a ciò che l’ha più appassionata nel tempo (strada del tutto lecita che però, vedremo, non sarà esattamente così di facile percorribilità).

Non ho intenzione di svelarvi troppo di Aria precaria, perché credo sia un libro al quale si debba prestare un’attenzione accurata (quindi è una lettura che, vivamente, vi consiglio). Mi piacerebbe, piuttosto, parlarne direttamente con la scrittrice.

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Presentazione alla libreria Feltrinelli di Milano, Corso Buenos Aires

 

Ciao Sara, benvenuta! Dacci una piccola anticipazione di te.

 

Grazie e buongiorno a tutti. Di me posso solo anticipare che forse Verga aveva ragione a dire che quelli con i capelli rossi non sono poi così normali.

 

Come è maturata l’esigenza di raccontarsi attraverso un libro?

 

E’ nata dalla disperazione o meglio da quel bisogno atavico e inconscio che ho di espettorare tutte le cose che mi succedono scrivendo.

 

Senza svelare troppo del tuo libro, c’è da riconoscere che all’interno ci sono parecchi personaggi tanto odiosi quanto realmente tacciabili di denuncia (mi viene in mente, ad esempio, la tipa della boutique di via Nazionale). Volevo chiederti se sei mai stata spinta dal voler perseguire legalmente certe irregolarità e se lo hai fatto nella realtà, poi.

 

Sì certo! Il problema è stato che tutte le persone a cui mi sono rivolta (avvocati amici, patronati, sindacati ecc.) mi hanno sempre sconsigliato di farlo. Anche se legalmente nella ragione avrei solo speso molti soldi (che non avevo) e tempo per non ottenere niente o quasi. Evviva l’Italia, insomma.

 

 

Rispetto a quando è uscito Aria Precaria, quanto pensi sia cambiata in generale la situazione lavorativa?

 

Onestamente ad oggi penso sia peggiorata. Negli ultimi due anni, la crisi economica e il precariato purtroppo hanno iniziato ad intaccare anche i senior, ovvero tutta quella fascia di età che va dai 35 ai 50 anni e non più solo i giovani appena laureati o alle prime esperienze lavorative.

 

Vivendo la realtà quotidiana di due grandi e complesse città, come Roma e Milano, sai dirmi quali sono per te, professionalmente parlando, i punti forti e i punti deboli di ognuna?

 

I punti a favore di Milano sono l’efficienza e la professionalità. Mi dispiace doverlo ammettere perché amo Roma e i romani ma lavorativamente parlando è come paragonare il nord Europa al terzo mondo. Di contro Milano ha una concorrenza spietata e una facciata di apparenza decisamente fastidiosa.

I punti forti di Roma sono le persone; i rapporti umani che si instaurano lavorando insieme.

 

Penso a Roma (forse perché è la mia città e perché le attribuisco parecchie responsabilità, nel bene e nel male), così ti chiedo: a cosa dovrebbe rinunciare Roma per tentare di essere una città in grado di offrire non solo una giusta vivibilità (aspetto non trascurabile) ma anche una vaga realizzazione professionale?

 

Al vaticano. Sto scherzando ovviamente, anche se sarebbe bello e di grande aiuto. Parlando più concretamente Roma dovrebbe rinunciare a quella sua, forse troppo radicata, abitudine di dire; “Eh si sa che è così.” Essere per primi il cambiamento che si vuole è la chiave per la vittoria, personale e di tutti.

 

 

Molti dei miei amici scelgono di lasciare le grandi città e di trasferirsi in piccoli centri, più a misura d’uomo, dove per assurdo riescono a trovare una loro collocazione professionale, intraprendendo magari dei percorsi di diversa natura rispetto a quelli che avrebbero accettato di affrontare se fossero rimasti in città. Tu che opinione hai, di questo fenomeno? Può sembrare forse un paradosso? Una grande città non è più, dunque, sinonimo di una condizione lavorativa ferma e stabile? O è cambiato ciò che siamo disposti a mettere in discussione, per un impiego?

 

Partiamo dal principio che ad oggi non esiste più nessuna condizione lavorativa ferma e stabile, indifferentemente dal paesino di montagna alla metropoli. Il piccolo centro offre grandi opportunità in determinati settori e le città rimangono sempre grossi centri di incontri, scambi culturali e professionali. Credo sia solo cambiata la percezione della cosa ma, in questo senso, tutto è rimasto come ai tempi dei nostri nonni.

 

 

Facciamo un gioco, ora, e fingi di essere l’HR di un’azienda che più ti piace. Hai una selezione di qui a breve con diversi candidati per una figura “X” che ricerchi. Dimmi tre requisiti che per te sarebbero essenziali, per la Risorsa ideale.

 

Intelligenza, curiosità e passione. Tutto il resto si può imparare, studiare e approfondire nel tempo.

 

 

Veniamo, invece, all’aspetto editoriale: sono in molti, oggi (me compresa), ad avere come sogno nel cassetto, quello di veder pubblicato un proprio libro. Com’è stato il tuo percorso, in tal senso? È stato difficile arrivare alla Cairo Editore?

 

Il mio percorso è stato inusuale. Io non avevo il desiderio di pubblicare il mio libro con una casa editrice in quanto già l’avevo fatto da sola tramite un portale di self publishing. Il Cairo mi ha trovata sentendo parlare in giro del mio libro e mi ha fatto una proposta editoriale a cui era impossibile dire di no. Per rispondere con altre parole alla tua domanda; sì, è ancora possibile in Italia essere pubblicati per un lavoro che merita senza avere conoscenze o raccomandazioni.

 

Ci sono, dunque, speranze di vedere nelle librerie qualche nome nuovo per qualche casa editrice di cui poter esser fieri?

 

Assolutamente sì. Le librerie sono piene di giovani autori ancora sconosciuti che valgono tanto, se non di più, di tanti famosi scrittori contemporanei.

 

E tu ci delizierai con altre tue produzioni?

 

Io ho quasi finito di scrivere un nuovo romanzo. Sempre contemporaneo, ironico e tragico come in fondo poi sono io ma non sono ancora pronta a pubblicarlo. Lo sento ancora un pochino troppo mio.

 

Tre libri che Sara Root ha amato infinitamente?

 

Domanda difficile. Tre sono pochi ma ci provo:

 

Ernest Hemingway [Il Vecchio e il mare]

Cesare Pavese [Lettere 1945-1950]

Nietzsche [Così parlò Zarathustra]

Ma permettimi di aggiungere anche Fernando Pessoa con il Libro dell’inquietudine. Non nominarlo nemmeno mi farebbe male.

 

Tornando alla questione lavoro, sei soddisfatta della tua attuale situazione professionale?

 

Quale situazione? No, scherzo. Ora faccio la freelance, lavoro tre giorni a settimana a Milano e i restanti a Roma. Non è una bella vita e di certo non è più stabile di quella da dipendente a tempo determinatissimo ma per lo meno mi permette di avere più controllo sulla mia situazione economica (se un mese non entrano lavori lo so e mi organizzo di conseguenza, prima invece lavoravo sempre tanto e a sorpresa non ricevevo lo stipendio!).

 

Progetti prossimi (se vuoi parlarcene)?

 

Non ne ho. Vivo alla giornata. E’ l’unico modo che ho trovato per essere pseudo felice.

 

Senza essere catastrofici (malgrado la situazione che ci si presenta davanti agli occhi, sia quella che è) né esageratamente romantici, ti senti di dire qualcosa di propositivo a chi attualmente non nutre alcuna speranza sulla ripresa lavorativa del nostro paese?

 

Guarda, mi trovi un po’ in difficoltà perché normalmente sono sempre molto positiva e consiglio a tutti di credere e puntare sul proprio talento o inclinazione qualunque essa sia, dal costruire bene un muro di mattoni al dipingere quadri come Monet. Ora però ti dico che la cosa più propositiva che ho da dire è: andatevene finché siete in tempo oppure comprate Aria Precaria e lottate insieme a me!

 

Un tuo mantra personale (se ce l’hai)?

 

Mai dire mai.

 

 

Pensiamo, dunque, a lottare e a programmare una eventuale fuga, ma non dimentichiamoci di leggere Aria Precaria, Cairo Editore, distribuito da Librerie Feltrinelli, IBS e dai migliori circuiti di distribuzione libri.

 

Personalmente, ringrazio Sara per questo libro, che ha dato voce finalmente a tutta una  serie di situazioni paradossali ma VERE che troppo spesso rimangono sconosciute ai più o che vengono addirittura considerate cliché superati o sentiti dire mal riportati. Sovente occorre stupirci di fronte alla realtà, che supera di gran lunga (e con più particolari inediti) la più fervida tra le fantasie.

Grazie, Sara, per essere stata ospite di (sOmE)things, in Obladi Oblada.

In bocca al lupo!

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Presentazione alla libreria Feltrinelli di Milano, Corso Buenos Aires

D6613FA1-2C74-4F01-89DD-AA134C08A173 Presentazione alla Feltrinelli di Roma, Galleria Alberto Sordi

BEF36523-1DE1-44B3-8A8A-F0A2ECAE1D9B Uno Mattina – Rai Uno

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Presentazione alla Feltrinelli di Roma, Galleria Alberto Sordi

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2 Commenti

  1. Postato 29/10/2013 at 11:10 am | Permalink

    Grazie di cuore per tutto ciò… È una realtà dura, ma conoscerla ti permette di trovare una forza nuova nel tuo profondo e molta motivazione!
    Vado a cercarmi subito il libro :)

  2. giusy
    Postato 29/10/2013 at 12:27 pm | Permalink

    Sono felicissima, Isabella, che il libro di Sara ti abbia incuriosita a tal punto da volerlo leggere! :) E’ autentico e vero, è generoso e sensibile. E’ un modo per non sentirci troppo marziani in questa realtà preconfezionata e spesso crudele.
    Baci grandi! ;)
    (dicci, poi, che impressioni ne hai avuto, eh? :) ).

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