a cura di Giusy Celestini
Uno tra i libri che sono per me una sorta di vademecum e di guida personale verso la retta via, si chiama “Cosa farebbe Audrey?” di Pamela Keogh (Sonzogno Editore).
Ne possiedo addirittura due copie perché, quando uscì (era il 2009), due persone a me molto care me lo regalarono. Ciò risiede nel fatto che da sempre ho una predilezione pazzesca per Audrey Hepburn, così forte e sbandierata al mondo da aver indotto chi mi conosce ad accostarmici di continuo, con mia incontenibile gioia.
Si tratta di un libro pieno di informazioni utili sulla diva tra le dive: cenni biografici, sprazzi di vita personale, ricette preferite e tutta una serie di imprescindibili concetti che l’hanno poi resa l’icona che conosciamo. Grazie al materiale rintracciato e alla conoscenza approfondita, l’autrice gioca ad inserire molti aspetti di Audrey nei contesti più comuni e attuali, e non ci riesce difficile credere che lei avrebbe davvero pensato certe cose e agito in un determinato modo, se ci si fosse trovata realmente. Ciò che all’apparenza avrebbe le sembianze giuste per essere identificato come un libro dal poco peso specifico, nella realtà si rivela una vera e propria guida ricca di consigli e spunti su come cavarsela, su cosa fare e in quali direzioni spostare il proprio pensiero e le proprie riflessioni negli ambiti più disparati. Passeremo, dunque, dal sapere che Audrey dice SI’ al mascara SEMPRE (ma, per carità, NO se si è deciso di mettere anche il rossetto) al leggere aneddoti dove la ritroviamo nei panni di quella abituata a non prendersi troppo sul serio (in senso buono) nelle situazioni. La scopriremo attentissima nella cura di sé senza diritto di replica ma poco propensa al fasto provinciale e cafonotto verso il quale muove aspre e irremovibili critiche.
Immaginandocela ai giorni nostri diremo che NO, non avrebbe mai comprato un’imitazione perché troppo rispettosa del lavoro degli stilisti, che amerebbe i centri commerciali, guarderebbe il cartellino del prezzo – per poi dimenticarsene – e condividerebbe i suoi segreti di bellezza senza alcun problema. Sorridiamo nel leggere che aveva un lato pasticcione, rivelatoci dal racconto di quando conobbe Cary Grant nel 1962 e di come, per l’emozione, rovesciò un’intera bottiglia di vino rosso sul completo color panna di lui. Mi piace conoscere la sua tempra e la tenacia utilizzate nel condurre le sue relazioni amorose, che spesso l’hanno delusa ma che mai le hanno fatto perdere di vista quanto i sentimenti per lei fossero importanti e insostituibili.
Sfogliando a caso le pagine di questo libro, è davvero interessante scoprire – da quelle che sono le informazione su di lei che l’autrice ha raccolto – che Audrey sarebbe oggi una ecologista incallita, essendo di già impegnata nel promuovere il non spreco e l’utilizzo di fonti elettriche a basso consumo, che amava le ballerine Repetto (ADORO!!!), che non avrebbe familiarizzato con i social network e che non si considerava una superdonna né una bellezza neppur vagamente vicina a ciò che era nella realtà. A tal proposito, l’autrice ci racconta:
In Arianna Audrey si lamenta scherzosamente con Gary Cooper:
“Sono troppo sottile, ho le orecchie a sventola, i denti storti e poi ho il collo troppo lungo”. E Cooper risponde: “Può darsi, ma mi piace come il tutto è tenuto insieme”.
Il suo indiscutibile fascino, poco riconosciuto da se stessa – ma comunque mai osteggiato – è ciò che me la fa amare in un modo che è sempre vivo, mai annoiato, continuamente rinnovato nell’entusiasmo. Audrey Hepburn è la stessa ragazza che non si concedeva alla vita mondana – se impegnata con le riprese di un film – perché riteneva di non avere alcun talento e preferiva utilizzare tutto il tempo a disposizione per studiare. Ripeteva sempre che prima o poi qualcuno si sarebbe accorto del grande abbaglio e che lei sarebbe piombata in un anonimato cupo ma meritato. Studiava incessantemente, arrivava all’alba sul set e ripeteva di continuo la sua parte. Sempre, per ogni suo film, per tutti i suoi film, dal primo all’ultimo, senza mai sentirsi arrivata. Questo aspetto viene spesso frainteso dal mondo moderno e viene mal interpretato. Il non sentirsi pienamente soddisfatti di se stessi in quel modo che è strazio ma che è anche creatività, che poi è lo stesso che ti spinge a lavorare sodo e a dare tutta te stessa per un progetto nel quale credi, talvolta viene scambiato come un’incapacità, un non saper fare, un tenere un profilo basso perché in alto non si sa guardare. C’è molto altro, c’è tanto altro dietro: c’è la tenacia – spesso mal ripagata – verso un obiettivo che percorriamo, c’è la voglia di farcela malgrado tutto, c’è una ricerca del coraggio utile ad andare avanti che in certi casi è quasi una preghiera ad averne.
L’idea che a un personaggio così apparentemente perfetto mancasse quella comodità di pensiero e quella stabilità di posizione che tutti le attribuirebbero, mi aiuta a riconoscermi in quei cammini impervi nei quali mi avventuro e che non mi lasciano alcuna anticipazione di come sarò una volta arrivata dall’altra parte.
Questo libro rappresenta quella sana boccata di ossigeno che ogni tanto ho bisogno di concedermi per sentirmi nel posto giusto coi piedi giusti. Quando il mondo urla a gran voce e si auto acclama con etichette prestampate bene in vista (parlo ovviamente di chi non ha un retro e un contenuto consistente), io mi siedo e leggo qualche pagina di questa mia Audrey, per sentire che la piccola Giusy tanto inquieta è in ottima compagnia.
One Commento
Grande Audrey! E brava Giusy: ottima recensione