London calling!

–Presente! – rispondiamo noi.

Quando ti piace un genere musicale, l’indie rock, che non sbanca i botteghini in Italia (il che significa: pochi arrivano fin dalle nostre parti quando sono in tour) e ti piace viaggiare, la soluzione è presto fatta: diventi un viaggiatore della musica, cogli l’occasione di andare a sentire un concerto all’estero per scoprire posti nuovi, o riscoprire quelli dove sei già stato. E siccome capita che a Londra di gruppi della scena indie ne passi qualcuno ogni tanto, ringraziando le benemerite compagnie low cost, che ci consentono di arrivarci a prezzi paragonabili al pedaggio autostradale per Milano, quando l’occasione è ghiotta, noi la cogliamo al volo!

Questa volta la “scusa” si chiama Jason Lytle, ex cantante degli sciolti Grandaddy, che dopo la mitica (qualcuno azzarderebbe “mistica”) reunion dello scorso settembre (che allora ci è valsa un giretto a Manchester), torna da solista con il suo ultimo disco, Dept. of Disappearance.

Devo dire che ogni occasione è buona per tornare a Londra e onestamente mancavo da troppo tempo. Da quando, allora 16enne, ci andai per la prima volta, con il mio primo volo, la prima esperienza all’estero da sola, Londra ha sempre esercitato su di me un effetto calamita (con l’accento sulla prima “a”!). Sarà che agli occhi della ragazzina provinciale di allora tutto sembrava incredibilmente sfolgorante, vitale: l’ho adorata da subito e negli anni, ogni volta che sono tornata, mi ha sempre regalato nuove gemme.

Vai a Parigi, Vienna, Roma e sei un turista: vedi cose, fai fotografie, la città ti scorre attorno, cerchi di afferrarla ma spesso rimani un osservatore estraneo. Vai a Londra e FAI cose, vivi la città, i suoi quartieri. Lì le cose succedono, lì vai se vuoi non solo vederle succedere, ma esserne parte tu stesso.

Londra è indulgente e generosa con i turisti che vanno per guardare, ma il meglio di se lo offre a chi esplora nuovi territori. Certo, nessuno rimarrà deluso nel tornare più volte nei luoghi più classici: Camden e il suo storico mercato, Covent Garden e l’intramontabile negozio Dr. Martens, i grandi magazzini lungo Oxford Street, la Tower of London, i musei…i musei, dove la Londra che evolve si rispecchia perfettamente. Le prime volte che sono stata a Londra c’era la Tate, ora c’è la New Tate; fai un salto al British Museum e trovi una nuova esposizione, una nuova ala (e parliamo di migliaia di oggetti esposti); o magari capiti da quelle parti proprio quando inaugurano la maestosa Reading Room… e la cosa splendida è che non costa niente!

Negli anni ho visto fiorire e diventare cool nuovi e vecchi quartieri: I Docklands, Greenwich, le grandi infrastrutture costruite per le celebrazioni del Millennio (Millennium Dome e Millennium Bridge), l’East End. Musica, cucina etnica, cultura e contro-cultura (persino un po’ di cultura-trash, con la visita agli Studi della BBC, con ragazzine in visibilio perché avevano visto un ragazzino, a quanto pare leader di una boy band inglese, venuto per registrare una puntata di Top of The Pops).

Quest’anno, a qualche mese dalla fine delle Olimpiadi, sperimentiamo ancora nuove zone: si dorme in uno degli hotel a ridosso del Villaggio Olimpico, a Stratford, a fianco di un mega centro commerciale. Conveniently located: appena fuori, ma ottimamente servito dai mezzi, in 10-15 minuti sei nel cuore della città. Con una spesa di circa 30 eur a testa per notte, un livello di pulizia eccellente rispetto allo standard britannico, colazione inglese all you can eat, non potrei pensare ad un punto d’appoggio migliore. Sull’aereo durante il volo di ritorno già si parlava di quando tornare!

L’hotel, della catena dei Premier Inn, si trova dentro a un centro commerciale, che dico, una città commerciale! 3 piani, 175.000 m2 (!!!!), oltre 70 punti di ristoro, dal chiosco nella galleria a ristoranti in piena regola. Varrebbe la pena prenotare un weekend ogni tanto anche solo per fermarsi lì, senza nemmeno prendere i mezzi per Londra (mh, siamo onesti, chi poi davvero non ci andrebbe!).

Atterriamo il giovedì verso le 11 (volo Ryanair, spesa totale per 2 andata e ritorno, 102 eur – prenotato a novembre per febbraio). Poco più di un’ora dopo (40 minuti la durata del viaggio, che ci consegna ai piedi delle scale mobili del centro commerciale – 6 sterline a tratta con pullman Terravision, prenotabile online) abbiamo già fatto il checkin e prendiamo alla stazione della metro la nostra Oyster Card (la card per viaggiare nella rete di trasporti metropolitani di Londra, Underground, Overground, autobus, ecc.).
La puoi ricaricare nelle macchinette automatiche e alla fine del viaggio la restituisci e riprendi indietro il deposito di 5 sterline e eventuale residuo non speso (ne esiste una senza cauzione iniziale, chiamata Visitor’s Oyster card, ma non la vendono dappertutto).
Prima tappa: Westminster Palace, la sede del Parlamento britannico. Da bravi segugi (il merito qui va ad Ale, il mio compagno, di vita e di viaggio, che in queste cose è un mago), scopriamo che, sì, esistono tour guidati al Parlamento, in orari prestabiliti, alla modica (?!??!) cifra di 15 sterline, ma è possibile entrare anche in un altro modo: chiedendo di assistere alle sedute del Parlamento! E così facciamo: per la seconda volta nel giro di poche ore ci sottoponiamo al rito del metal detector e della perquisizione (che strano, probabilmente quando viaggiamo con i bambini appariamo più innocui…ora, senza pupi al seguito, ci perquisiscono tutti! Bah, saranno forse le occhiaie dalla levataccia!).

Ci fanno una foto istantanea, la appendono ad una collanina e ce la dobbiamo tenere al collo. Le immense stanze e corridoi che si attraversano per accedere alla stanza dei bottoni sono imponenti e suggestive: grandi soffitti in legno o affrescati, arcate, si respira aria di grandi cose. Si accede alla tribunetta per i visitatori da una stretta scaletta che si avvita su per una torre. Assistiamo ad un dibattito durante il quale i parlamentari chiedono alla Ministra (della Sanità, immagino) di render conto dei recenti tagli ai servizi di emergenza ospedaliera. E’ bello vedere come da qualche parte, nel mondo, ci siano effettivamente rappresentanti del popolo che parlano in nome del proprio elettorato, che portano avanti le istanze, anche piccole, della gestione della cosa pubblica…uno spettacolo a cui da noi raramente si assiste… image002
Dopo un caffè alla “bouvette” locale, dove ci serve l’immancabile barista italiano, e un giretto attorno, puntiamo verso Westminster Abbey, l’abbazia, proprio lì di fronte. Qui la storia si ripete: vuoi visitare l’abbazia? Ok, solo tour guidati, e sganci 18 sterline! Ebbene, al termine dell’orario di ingresso dei tour, verso le 17, c’è un rito denominato EvenSong, rito per i fedeli, una sorta di messa cantata, i cui canti sono eseguiti dal coro dell’Abbazia. Ti presenti al cancello, dici la parolina d’ordine “EvenSong” e ti lasciano entrare! Diciamo che in questo caso la visita è un po’ irreggimentata, nel senso che una volta entrati si viene indirizzati verso gli scranni del coro nella navata centrale, ci si siede comodamente al posto di nobili e prelati, e ad un certo punto in processione arrivano il prete e i membri del coro, si accomodano nelle poltrone centrali e inizia il rito. Decisamente suggestivo! L’unica pecca è che se per caso dopo un po’ ci si annoia non ci sono molte scappatoie, si sta lì fino alla fine. Però il tutto si esaurisce nel giro di mezz’ora, quaranta minuti, e ne vale decisamente la pena!

image003 E’ il primo giorno, siamo arrivati a malapena da 5-6 ore, e dobbiamo ancora assistere allo spettacolo per cui siamo venuti! Questa sera, concerto di Jason allo Scala! Ale, che non si fa mancare nulla, ha prenotato online (sottoscrivendo la membership, che ci da pure diritto ad uno sconto) un tavolo per una cena all’orario del te, presso la sede più vicina al concerto di una piccola catena di ristoranti indiani: Masala Zone. Il pezzo forte è un piatto di assaggi, detto Thali. Esperienza piacevole (e all’asciutto, mentre fuori si sfoga una delle specialità londinesi, pioggia battente), anche se forse un po’ troppo fighetto (i camerieri a turno ogni due secondi vengono a chiedere se va tutto bene, insomma, lasciateci mangiare che poi vi diciamo!).

Ok, pratica cibo smarcata, intrattenimenti turistici odierni smarcati, tocca a Jason ora! Arrivati allo Scala inizialmente non c’è tanta gente. Dopo qualche minuto vedo Ale che si agita e comincia a gesticolare. Mi giro e scopro che sta salutando un ragazzo di Ravenna, come noi! Che anche lui fosse appassionato dei Grandaddy lo sapevamo, ma scopriamo che non solo è in contatto con Jason, ed ha ricevuto per se e famiglia gli accrediti per entrare, ma ha persino scattato le foto che sono nel booklet di Dept. of Disappearance!ed ha girato una specie di trailer promozionale dell’album che Jason ha pubblicato sul suo canale Youtube (http://www.youtube.com/watch?v=EERd7vx_iiA&feature=player_embedded).

Sul palco ci sono solo Jason, che alterna chitarra, tastiere e armonica ed un altro chitarrista, preso costantemente di mira da Jason per la sua pazienza. Rispetto alla prima volta che li vedemmo, prima che sciogliessero, a Glasgow, Jason appare molto più a suo agio. Fa battute, ingaggia siparietti con il pubblico che immancabilmente (e senza successo) gli chiede canzoni (ad uno che gli chiedeva una canzone risponde: “I Understand you…..almost”. Ad un altro dice: “Yes, I will sing it…in my head…”). Nei giorni prima del tour, anzichè provare, sul suo profilo FB aveva scritto di essere stato a fare backcountry skiing a Yosemite, e di aver avvistato un branco di lupi, quindi si scusa, per non aver preparato i pezzi, e spesso anticipa che potrebbero venire una schifezza. Invece il risultato è che sembra quasi di essere ad un evento privato, per pochi, ma non nel senso che le canzoni escono fuori improvvisate, piuttosto per la naturalezza e la spontaneità: sembra quasi di essere capitati per caso in qualunque locale, dove suonano dal vivo, e scopri che a suonare c’è lui. Jason imbraccia la chitarra o fa scorrere le dita sui tasti sbizzarrendosi a reinventare i pezzi, a smembrarli e ricomporli, mettendo come intermezzo ogni tanto una musica di Schubert e una musichetta da college movie. Nonostante non faccia i pezzi che esplicitamente gli chiedono dal pubblico, tuttavia concede grandi classici (non solo suoi ma anche dei Grandaddy), come El Caminos in the West, Crystal Lake. Ci sono forse un paio di canzoni che risentono un po’ della strumentazione così scarna, ma per il resto Jason non minimalizza, anzi, svolazza, s’inventa sempre nuove variazioni sul tema. A volte ascolti l’intera canzone e solo alle ultime note capisci qual’era.

La ciliegina sulla torta? Stefano (il concittadino ravennate), a fine concerto si fa e ci fa largo attraverso la rigidissima security e ci fa conoscere Jason! Così Ale ha finalmente l’occasione di dirgli che, se mai fosse stato capace di far musica, avrebbe fatto la SUA musica. Jason non sembra affatto infastidito dalla nostra incursione, anzi, è gentilissimo, sorridente, fa battute. Una serata (e un primo giorno) che non poteva chiudersi meglio!

Arriva il venerdì. Dopo la deliziosa colazione inglese all’hotel, facciamo rotta verso Trafalgar Square e la National Gallery. Come praticamente tutti i musei londinesi (e britannici) anche qui l’ingresso è gratuito, e come se non bastasse organizzano pure tour guidati, anch’essi gratuiti. Nell’attesa che si faccia l’ora del tour facciamo una piccola deviazione al Covent Garden. Delizioso scorcio londinese, una di quelle classiche strutture in ferro che alloggiano i mercati di quartiere. E’ una delle tante aree di shopping con i negozi più classici dove solitamente si fa tappa andando a Londra (la Tea House, dove vendono te ed accessori da te di tutti i tipi), il negozio della Dr. Martins (dove però i commessi sono un po’ smorfiosi e non ci ispirano granchè), il negozio di aquiloni e altre simili amenità. In altre visite a Londra abbiamo mangiato, proprio qui, lungo Neal Street, al Food for Thought. Cibo salutista mangiato in tavoli tutti appaiati tra loro. Ma questa volta siamo troppo vicini alla colazione e troppo lontani dall’aver fame per bissare.

Alle 11 ci presentiamo al meeting Point e una guida molto competente ci accompagna alla scoperta di 4-5 opere esposte nel Museo. Dall’arte medievale all’impressionismo. Gironzoliamo ancora un po’ per il museo a fine spiegazione, poi ci facciamo un giretto in autobus (rigorosamente al primo piano!) per avvicinarci a Brick Lane, la nuova zona trendy di Londra, non prima però di una sosta ad un altro mercatino storico non lontano, Old Spitalfields Market. Brick Lane è la zona dei ristoranti etnici (specialmente indiani, la nostra passione), dei negozietti di roba vintage e soprattutto sede della gloriosa Rough Trade, negozio di musica fino a qualche tempo fa associato anche all’etichetta indipendente che produce gruppi del calibro dei Belle and Sebastian, solo per citare quello a noi più caro.

Sappiamo che quel giorno alla Rough Trade c’è un’in-store gig (concerto nel negozio) alle 18,30. Suonano gli Amateur Best, band dalla formazione insolita. Due cantanti (uno principale, l’altro in accompagnamento) che NON suonano strumenti, una tastierista e un chitarrista). Li definirei come: Michael Bubble incontra i Cousteau, non per tutti i palati. Però è pur sempre gratis e in una location insolita, quindi, perché no…

A proposito di location insolite, giorni prima il solito segugio aveva scoperto che quella sera ci sarebbe stato un concerto dei Veronica Falls (una delle band più promettenti dell’attuale scena indie londinese) in una chiesa! A quanto pare, nemmeno sconsacrata. Nessuna speranza di beccare i biglietti in prevendita online, tutti esauriti. Andiamo lì nel pomeriggio mentre facevano i suoni, e un tipo della crew ci dice di non tentare, conferma che i biglietti sono esauriti. Noi però, dopo l’ennesima cena all’ora del te (cena deliziosa in un piccolo ristorante a Brick Lane, Meraz Cafe, con totale soddisfazione e spesa di 24 sterline in due!) e la puntatina alla Rough sfidiamo la sorte e all’apertura delle porte siamo lì nel sagrato della chiesa. Quando aprono i cancelli vediamo che spuntano via via i nomi da una lista prestampata, ma scopriamo che c’è ancora qualche biglietto disponibile! Devo dire che dopo il camminare incessantemente che è il leit motiv delle nostre visite londinesi (e ovunque), assistere ad un concerto seduti è una manna!
Usciti dal concerto, nel breve tratto che ci separa dalla stazione della metro assaporiamo qualche sprazzo della night life che anima questo quartiere, Shoreditch. Locali stracolmi con butta dentro/fuori, ragazzine in minigonna senza calze (giurerei che la temperatura si aggiri attorno allo 0!), marciapiedi colmi di gente. Ma, come dice Ale, we call it a day (per oggi, basta), un paio di cambi di Overground e siamo sotto l’hotel.

Ultimo giorno (schiena e piedi ringraziano!) dedicato allo shopping (mh, no, forse ringrazieranno solo domani…). E quale miglior posto dove andare se sei di sabato a Londra e vuoi fare shopping? Camden! Camden non è un mercato, sono tanti mercati, è un intero quartiere-mercato. Se dovessi mettere su una capsula una foto rappresentativa di Londra, da mostrare agli alieni, metterei una foto di Camden. Il distillato di Londra, o per lo meno della Londra che piace a me! Lungo la strada principale, dall’uscita della Metro di Camden Town, ci sono negozi di ogni tipo, in se stessi divertenti (con gigantesche gambe e altre sagome che fuoriescono dagli edifici), gallerie che si inoltrano all’interno con lunghe serpentine, il vero e proprio Camden Market, fatto di bancarelle simili a quelle dei nostri mercati cittadini, un labirinto interminabile di bancarelle e negozietti dentro le gallerie e le viuzze che compongono l’Horse Stables Market e il Camden Lock. Di oggetti ce ne sono di ogni tipo (comprese innumerevoli bancarelle di street food, per fare uno spuntino a scelta tra brasiliano, cinese, messicano, italiano, e chi più ne ha più ne metta). Noi siamo in cerca del grande classico da comprare qui…le Dr. Martins! E le troviamo (a prezzi assai più abbordabili rispetto allo store con la puzza sotto il naso di Covent Garden) in un negozio multimarca. Colpito e affondato! Io esco con ai piedi i miei giganteschi scarponcini-stivali (arrivano fin sotto le ginocchia) e Ale con un paio per sé (un po’ meno vistoso del mio).

Altro acquisto d’obbligo: un regalino per i nostri due pupi, rimasti a casa a badare i nonni. Troviamo la cosa perfetta (considerato anche lo scarso spazio che abbiamo a disposizione nel bagaglio a mano Ryan-compatibile): il berretto degli uccellini arrabbiati! (Angry Birds, di cui Marco e Luca sono due grandi appassionati).
Dopo aver girovagato in lungo e in largo per il mercato ed aver fatto anche una pausa per una birra al pub al primo piano del Camden Lock, ci muoviamo verso Oxford Street, altra zona shopping di Londra, anche se per diversi portafogli! Ad Oxford Street e dintorni ci sono i grandi magazzini: Selfridges, Harrods, Hamleys (quello dei giocattoli), il mega store Nike. Qui più che comprare, diamo un’occhiata. Allo store Nike per esempio ci sono sempre degli allestimenti bellissimi, super sgargianti. Gente che fa la fila per provare su un tapis roulant le nuove, leggerissime, tecnologicissime scarpe da corsa…
Per chiudere il cerchio dello shopping, siccome fino ad ora ci siamo soltanto passati attraverso distrattamente, decidiamo di passare un po’ di tempo, sulla via del ritorno all’hotel, del mega centro commerciale di Stratford. Non abbiamo la pretesa di vedere tutto, anche perché credo ci vorrebbero 2-3 giorni per lo meno, ma diamo un’occhiata in giro, e siccome dobbiamo cenare, e il giorno prima abbiamo adocchiato un bel messicano che ci ispirava molto, approfittiamo anche per fare l’ennesima tappa (o tapas?) del nostro tour culinario. Mangiamo da Wahaca, franchising messicano che ha altre sedi a Londra. Ottimo l’assaggio di street food per due, a 19 sterline, con diversi tipi di tortillas (sia quelle morbide che quelle croccanti). Poi, già che c’eravamo, e dopo questa parentesi devo tornare alla mia rigorosissima dieta, facciamo tappa persino da un punto ristoro vietnamita, dove mangiamo Noodle soup e altre prelibatezze.

Ok, la festa è finita, levataccia per il rientro, quindi a nanna presto e la mattina dopo tutto piuttosto liscio: bus – aeroporto – imbarco – volo – rientro. Fortunatamente schivando neve e altre insidie. Allora, prenotiamo per la prossima volta?

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