a cura di Giusy Celestini
(biobioeancorabio.blogspot.com)
Buon anno a tutti voi, di cuore!
Come state? Trascorsi bene, questi giorni di festa? Io sono quasi sparita (me ne rammarico) perché la mia vita reale, la vitagiusiaca, mi ha catapultata in una realtà per certi versi confusa, chiassosa, disordinata e massacrante ma colorata e abitata prevalentemente (udite udite) da bambini, mia smodata passione. Faccio outing (dunque) e confesso apertamente di essere innamorata in maniera FOLLE della specie bambino, che mi sento mamma da quando ho sette anni (forse anche meno), che sono la zia putativa di tutti i neonati che incontro, che sogno di avere un giorno una creaturina tutta mia da spupazzare (e grazie alla quale nutrire il mio senso costante di inadeguatezza acuta, quantomeno nei suoi primissimi giorni di vita :D) e che ad oggi ho pronti nella mente arredi immaginari, giocattoli, abbigliamenti adatti a tutte le occasioni e ninne nanne da cantare, in pieno stile “psichiatria d’urgenza” oppure (rimanendo buoni, che natale non è ancora così lontano) ci facciamo prima la sella e poi pensiamo al cavallo, ecco.
Per il momento soddisfo la mia necessità di sorrisi bimbi concedendomi delle sessioni massicce di ziaggine acuta, con i miei due nipotini di sei e due anni e mezzo, e delle sporadiche ma intense apparizioni in quello che è stato, per l’appunto, il mio impegno durante il mese di dicembre appena trascorso.
Vi chiederete, a questo punto: “Che cosa avrà combinato, quindi?”. Una mia amica è proprietaria di un negozio di giocattoli etici, qui a Roma, facenti parte della catena Città del Sole. Io, ormai da diverso tempo, le presto il mio aiuto in quello che è il periodo più bollente dell’anno, per un negozio di giocattoli. La cosa di per sé è assolutamente divertente, per la varietà di giochi impensabili che esistono (se non conoscete Città del Sole, vi consiglio di dare una sfogliata al loro catalogo: http://www.cittadelsole.it/customer/home.php?onebook=N) e per la bellezza di tanti piccoli e graziosi nanetti che scorrazzano in largo e in lungo per il negozio. Ma quest’anno, complice probabilmente il fatto di averci speso più tempo del solito rispetto al passato (ho lavorato dodici ore al giorno per un numero spropositato di giorni consecutivi, che ancora oggi non riesco a quantificare), devo riconoscere di essermi soffermata su aspetti che in precedenza non avevo notato con tanta attenzione. Ed è stato un po’ più duro (ecco), rispetto alle mie precedenti esperienze, essere lì sempre super performante e con il sorriso migliore che avessi. Lo scenario potrebbe essere quello che tutti si aspettano da un negozio di giocattoli che sta per esplodere nel pieno delirio dei giorni che anticipano il Natale, con richieste all’unisono che si sovrastano l’un l’altra, con nonne indecise che ti fanno tirar fuori tutti i giochi pensabili (e che poi non acquistano niente), con clienti che non ricordano affatto l’età del bimbo a cui fare il regalo e che si aspettano di trovare un unico gioco col quale possano divertirsi bambini di tre anni e bambini di dieci, con il vociare alto, il bancomat che non va, le file in cassa e tutto il resto. Sì, certo, c’è stato anche questo e molto altro ancora, ovvio. Ci sono stati momenti di ritmi serratissimi in condizioni spesso di stanchezza e fatica incredibili, pause sigaretta troppo brevi e lunghe e improvvisate soste in magazzino alla ricerca del minuto di quiete. Ma quello che non mi aspettavo di maturare, in questi giorni di contatto stretto con i piccoli, è la mia opinione sulle mamme e sul mestiere che svolgono. Malgrado le fatiche narrate, che nulla hanno a che vedere con quelle realmente vissute, non sento compromesso il mio amore per i bambini, che ritrovo illeso e immenso come sempre. Piuttosto, mi sono rimasti tutta una serie di interrogativi sui comportamenti delle mamme nei confronti dei loro figli. E malgrado una mia amica dica che le mamme vere sono quelle che i figli ancora non ce l’hanno (essendo scevre da implicazioni sentimentali che, per forza di cose, non le riguardano, rimanendo più obiettive ed equilibrate), io da non mamma, non mi arrogo il diritto di sentenziare una verità assoluta. Ma, più semplicemente, mi pongo delle domande. Lo faccio qui, perché mi sembra il luogo migliore: la padrona di casa è una mamma (meravigliosa ♥), come anche molte lettrici del blog. Vorrei che questo post fosse il pretesto per creare una sorta di conversazione collettiva, affinché ci si possa confrontare su un argomento che, sono certa, ha o avrà interessato anche voi.
Ma veniamo nel dettaglio: passino pure le scene di bambini urlanti e straziati al cospetto del giocattolo tanto desiderato che non possono (ancora) avere. Tutto sommato farei volentieri lo stesso io ogni volta che spiaccico il viso sulla vetrina di un negozio che vende le scarpe dei miei desideri e non posso comprarmi nulla. Mi sono chiesta il perché si sottoponesse un bimbo ad un tale dolore (perché di questo si tratta), ma poi mi sono detta che molte mamme non hanno la possibilità di lasciare i propri figli a casa con i nonni o con la tata, e quindi situazioni di questo tipo trovano una spiegazione. Ma quello che mi ha sorpresa oltremodo è stata la poca cura degli spazi comuni, l’idea (da parte di alcune mamme) di portare il proprio bambino in uno spazio nel quale è concesso, secondo loro, non avere alcun tipo di regola. Così era semplice accorgersi di bambini che coloravano con pennarelli a tempera delle parti espositive (tra l’altro non dedicate a loro) o che lanciavano palle in largo e in lungo, che distruggevano (letteralmente) scatole di giochi (divenute invendibili) o che strimpellavano PER ORE pianoforti giocattolo. Ecco, questa del pianoforte, poi, è da raccontare. In un pomeriggio affollatissimo, a ridosso col ventiquattro dicembre, in un negozio dove non si riusciva a camminare neppure di traverso, per quanta gente c’era, una mamma ebbe la splendida idea di dare a suo figlio (21 mesi, bellissimo come pochi visti finora) questo meraviglioso pianoforte giocattolo per vedere se poteva interessargli. Al bambino piacque così tanto che iniziò a suonarlo a suo modo e non smise più. Per ore (e non è un eufemismo). Io e i miei colleghi, ormai ubriachi di confusione, quasi non ci accorgemmo di questo sottofondo monotono, fin quando non vedemmo che molti clienti si lamentavano. Allora, come se si fosse acceso un interruttore, quel suono diventò all’istante un rumore assordante anche per noi, che stava trapanandoci il cervello senza che ce ne rendessimo conto. Così mi proposi io di andare a far cessare questo Requiem. Con garbo, andai dalla mamma del bellissimo bambino e le chiesi:
“E’ convinta di acquistarlo, allora? Le piace?”
“Sì, penso proprio di comprarlo”
“Bene, lo porto in cassa, allora”
Tempo di fare un accenno minimo all’idea di toglierlo al bambino e subito lei:
“No, non glielo tolga. E’ così bello sentirlo suonare!”
Occorre dire che, per quanto io ami i bambini in un modo che talvolta rasenta il patologico, non c’era NIENTE di così bello nel sentir suonare il figlio bellissimo della signora, ve lo garantisco. NIEN-TE! Zero carbonella, nulla di nulla, N I E N T E! E neanche nell’esagerato entusiasmo mostrato dal bambino (sette anni circa) che giocò a calcetto non so per quanto tempo ininterrottamente, mimando la radiocronaca sportiva di chissà quale squadra di calcio, urlando e dimenandosi come un ossesso per ogni azione gol, prendendo a calci il tavolo di legno che sorreggeva il gioco, c’era qualcosa di così meraviglioso ed estatico. Eppure sua madre non disse mai nulla per riportarlo alla normalità, né si preoccupò mai di pensare che il suo pargolo potesse essere fonte di confusione, nel negozio, né tantomeno che il negozio non fosse il suo. E non c’era nulla di utile e costruttivo nel gesto commesso da un bambino di circa otto anni (età adatta per conoscere la cura delle cose) che strappò le pagine di un libro pop up sui dinosauri. Ma anche lì compariva una mamma incredibilmente assente.
Non voglio dire che tutti i bambini incontrati in questo mio periodo di lavoro nel negozio di giocattoli, fossero la progenie di Attila lasciati liberi (da mamme poco attente) di radere al suolo ogni cosa. Dico però che ho respirato un’aria di non rispetto che mi ha colpito, lasciandomi pensare spesso. Sono ben lontana dall’essere un’esperta del settore ma, poiché in me rivedo tantissime cose che da piccola si prevedeva sarebbero arrivate alla donna Giusy così come in effetti mi sono poi arrivate, credo che la disattenzione (si tratta di questo?) mostrata nel non occuparsi della formazione di un figlio curando quegli aspetti complessi (mi rendo conto) nei quali forse occorrerebbe rifilare un no, possa compromettere il senso del rispetto che quel bambino, una volta adulto, riconoscerà e perseguirà. E so bene che può sembrare banale, il mio discorso (e me ne scuso), rispetto al ruolo di genitore che consiste in una marea di parametri educativi e comportamentali che non mi sento di poter affrontare neppur verbalmente, per quanto li reputo oggi inespugnabili, ma dal mio punto di vista piccino (in quanto inesperta) posso dire che forse dalle piccolissime cose se ne ottengono poi delle grandi e consistenti. L’idea che un bimbo non debba e non possa distruggere qualcosa che non gli appartiene, perché a beneficio di tanti altri bambini come lui, o che debba rispettare lo spazio comune, è sacrosanta. Almeno per me.
Insomma, io il mio amore per la specie bambino non l’ho perso neppure per un attimo, neanche quando le forze erano a terra e avrei strappato dalle braccia di alcune mamme le loro preziose Louis Vuitton per vedere se, almeno in quel caso, avrebbero dato segni di vita. Diciamo che la complessità dei compiti che un genitore è chiamato a sostenere, sempre e comunque, mi ha posto in una condizione di analisi accurata. Forse perché sento che la maternità mi riguarda più da vicino, di recente, malgrado ancora non l’abbia sperimentata. Quando sarà il mio turno, farò molteplici errori di gestione, già lo so (come tutte ne hanno fatti prima di me, suppongo). Ma mi piacerebbe riuscire a limitare i danni, per certi versi. Evitarmi l’evitabile, prestare quell’attenzione in più e avere quel tocco che solo chi lo ha provato (magari sbagliando in precedenza) prima di me, è in grado di potermi consigliare. Sarà un cammino impervio, per quanto bello ed edificante. Inevitabilmente.
Sarebbe meraviglioso se raccontaste la vostra esperienza di mamme/educatrici dei vostri piccoli, senza tabù e senza timori, parlando anche delle paure e degli errori, dei sorrisi ritrovati e delle capacità impensate, in questo spettacolare mestiere che si impara passo passo, senza tutorial o corsi in sconto da Groupon. Piccoli cenni di situazioni simili a quelle di cui ho parlato, sono sufficienti. Io nel frattempo prendo il mio taccuino migliore e inizio a prendere appunti.
Vi bacio tutte!
4 Commenti
Io al contrario sono una cosiddetta “mamma rompiballe”, che si scontra molto spesso con un marito -papà buono oltre ogni limite consentito … Io sono stat cresciuta da genitori severi ma giusti, liberi intellettualmente ma che non mi hanno risparmiato un ceffone, sopratutto da adolescente, quando lo meritavo ( sempre). Da noi si poteva parlare di tutto, liberamente … e discutere, anche litigare quando le posizioni erano lontane… ma l’educazione, il rispetto per gli altri, non mi sono mai mancate … e io cerco di farlo con mio figlio, a costo di farmi dire ” miiii che rompi che sei”
Sarò bisbetica ma certe cose non le tollero proprio: e non è colpa dei bambini, ma dei genitori che le permettono; anche mio figlio lasciato libero toccherebbe ogni cosa in un negozio di giocattoli, quale bimbo non lo farebbe? Sta al genitore però vigliare e limitare l’esuberanza naturale dei fanciulli.
condivido Serena
in effetti è più comodo lasciarli fare piuttosto che studiare le strategie per distoglierli e per fargli capire che ci sono
i tempi per fare certe cose
i tempi per fermarsi
i tempi per esultare e i tempi per tacere.
Noi attualmente siamo alle prese con i turni di comunicazione
ed una strategia preziosa è mettere il timer della cucina tutte le volte che ho bisogno di un tempo “mio”
per una telefonata per parlare con mio marito o per scrivere nel blog o rispondere alle mail
CHE FATICA educare dando dei confini!
Bella la tecnica del “tempo per”, Sara. E in effetti deve essere anche una fatica immane, insegnarlo. Ma quanta soddisfazione ne viene, poi? In alcuni contesti ho come la sensazione, invece, che alcune mamme pensino che sia la società, la scuola, i mass media a dover dettare le regole di un corretto modo di comportarsi. Vengo da una rigida educazione (mia madre è stata amorevole ma piuttosto severa) e mi rendo conto di quanto mi piacerebbe ci fosse la giusta via di mezzo per arrivare ad un traguardo edificante.
a volte sono stata considerata una mamma troppo rigida
ma il vivere comune l’ho a cuore e
vogliamo che arrivi ai bimbi questo messaggio!
L’educazione fondamentale avviene in famiglia
purtroppo o per fortuna
a seconda dei casi
non è delegabile.
Le istituzioni educative fanno o dovrebbero fare da rinforzo!